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Mensa vescovile, sec. XI -

La mensa del vescovo è il patrimonio (mobiliare e immobiliare) che egli ha a disposizione per il mantenimento della propria persona e di coloro che sono al suo servizio. Una frazione delle rendite ecclesiastiche destinata a tale scopo (portio episcopi) è citata già in un decreto di papa Gelasio (494). Il termine entrò però in uso soprattutto dal momento in cui il patrimonio della Chiesa cattedrale fu diviso tra due mense, quella capitolare e quella vescovile, ognuna con gestione propria (in un momento non sempre esattamente determinabile, ma che generalmente si colloca tra XI e XII secolo).
Al vescovo potevano appartenere anche poteri temporali (di giurisdizione) che però, almeno in area italiana, furono generalmente erosi già nella prima in età comunale: a partire dal tardo medioevo questi rimasero quasi sempre pure petizioni di principio. La mensa vescovile si compose allora soprattutto di diritti di natura economica (beni fondiari), che furono analogamente oggetto di assalti ed erosioni, ma rimasero a lungo particolarmente consistenti (riepiloghi, inventari, ricognizioni, atti processuali affollano gli archivi, dando conto della consistenza del patrimonio e delle modalità di gestione e di difesa). Le rendite della mensa erano molto ambite, per quanto fossero gravate anche da pesanti oneri da parte della curia papale e anche degli Stati regionali e nazionali (spesso con la motivazione della crociata o della guerra contro i turchi).
Una parte rilevante degli introiti della mensa vescovile era costituita dai diritti di decima: se i comuni cittadini liberararono città e suburbio dalla tassazione già fin dalla metà del XIII secolo, operando in modo tale da riscattarla o commutarla, nelle campagne le decime (appaltate alla classe dirigente, cittadina o regionale) rimasero in vigore molto più a lungo (in Francia furono abolite nel 1790 e nel resto d'Europa nel secolo successivo; la legge austriaca è del 1846, quella italiana del 1887). La loro abolizione diede origine a lunghe controversie legali, dato che vescovi e concessionari tentarono di dimostrare che si trattava non di decime di natura sacramentale, ma di censi dovuti da affittuari (decime patrimoniali); le liti si conclusero solo nel secondo dopoguerra.
L'amministrazione dei beni della mensa vescovile era affidata ad un delegato (che in sede vacante era nominato dal capitolo della cattedrale). Le leggi civili napoleoniche e quelle di età successiva cercarono talvolta di incamerare parzialmente o completamente le mense vescovili, i cui beni furono nazionalizzati in cambio di una quota per il mantenimento; talvolta l'amministrazione della mensa era affidata a un laico nominato con l'approvazione dell'autorità civile.


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Bibliography:
G. DAMIZIA, Mensa vescovile, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Roma 1952, col. 692
F. CALEYS BOUUAERT, Mense, in Dictionnaire de Droit Canonique, VI, Paris 1957, coll. 850-854
M. PIACENTINI, Mensa vescovile, in Novissimo Digesto Italiano, X, Torino 1964
M.DELLA MISERICORDIA, L'ordine flessibile. La documentazione della mensa vescovile presso l'Archivio storico della diocesi di Como (prima metà del XV secolo) in "Archivio storico della diocesi di Como", 11 (2000), 23-71
G. ARCHETTI, La mensa vescovile di Brescia: note storico-archivistiche su un antico fondo ecclesiastico, in "Brixia sacra",(6) 2001, 47-106
E. ORLANDO, Pratiche di scrittura, pratiche di governo: i registri contabili della Mensa vescovile di Padova tra Tre e Quattrocento, in I registri vescovili nell'Italia settentrionale (secoli XII-XV), atti del Convegno di Studi, Monselice, 24-25 novembre 2000, a cura di A. BARTOLI LANGELI - A. RIGON (Italia Sacra, 72), Roma 2003, 269-297

Editing and review:
Curzel Emanuele, 2007/08, prima redazione


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