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Comunità (Stato della Chiesa), sec. XIV - sec. XVIII

A fronte di una varietà di trasformazioni istituzionali, di domini politici e di assetti territoriali dello Stato pontificio, all'interno delle comunità gli organi di governo e le magistrature non sembrano subire incisivi cambiamenti. Vi sono le città di più antica tradizione comunale i cui statuti richiamano l'organizzazione tipica del comune medievale: dal parlamento e consiglio generale, di cui fanno parte tutti i capifamiglia, al consiglio ristretto (consiglio speciale o di credenza), fino alla magistratura collettiva che esprime la rappresentanza politica della comunità (priori, gonfalonieri). Accanto agli organi per mezzo dei quali la comunità manifesta il suo volere, si pone il podestà, con la sua familia di giudici, notai, barigelli, chiamato a svolgere la funzione di garante nell'amministrazione della giustizia e in materia di ordine e di sicurezza pubblica. I suoi giudici, assistiti dai rispettivi notai, siedono al banco civile e a quello criminale per conoscere le cause di competenza e decidono in genere anche le cause di danno dato. In una posizione di raccordo tra la comunità ed il podestà compare in alcuni casi anche il capitano del popolo, una sorta di commissario del comune con competenze politiche riguardo all'organizzazione delle corporazionei d'arti e mestieri, giurisdizionali, d'appello dal tribunale podestarile ed esclusive in particolari materie, di controllo nei confronti della stessa dell'attività della curia podestarile. Più frequente è la funzione affidata all'organizzazione territoriale della comunità: quartieri, sestieri, decarcie, partecipano al governo cittadino nominando, come a Priveno, un offiziale per porta che collettivamente eleggono 10 bussolatori per porta e nello stesso tempo garantiscono la difesa militare. Ad un livello diverso si collocano le due branche d'amministrazione che producono la maggior quantità di documentazione: la cancelleria, cui incombe soprattutto la registrazione delle congregazioni dei consigli e la redazione degli istrumenti e degli atti di rilievo della comunità; l'ufficio del camerlengo, responsabile della gestione finanziaria cui fanno riferimento gli innumerevoli esattori, collettori e depositari delle diverse casse comunali. Non mancano infine offitiali di vario genere, preposti alla custodia delle porte o delle mura, o incaricati di vigilare sulle strade, sui confini, o di provvedere all'approvigionamento del grano (grascieri, abbondanzieri) e di altri generi necessari.
Caratteristica comune a quasi tutte le cariche è la loro eleggibilità il cui meccanismo è a volte alquanto complesso; si perviene a definire quelli chiamati ad esercitare effettivamente la carica imborsando i nominativi (ossia chiudendoli in una borsa, o sacco, o bussolo) e procedendo alla loro estrazione. Si tratta di un meccanismo di sostanziale cooptazione poiché il gran numero di cariche e la loro durata estremamente breve (da due a sei mesi), garantisce un ricambio, o meglio un continuo passaggio di cariche, all'interno del medesimo ceto dirigente.
A partire dal XVI sec. il processo di svuotamento delle autonomie comunali e la più forte presenza statale conducono ad una notevole semplificazione degli organi comunali. Spariscono senz'altro alcune cariche, come quella di capitano del popolo; determinate attività, come quelle di carattere militare, vengono integrate ed assorbite nel quadro di organizzazioni sovracomunali; altre vengono svolte direttamente da autorità esterne. Ma ciò che sembra essere l'elemento profondamente nuovo è il sovrapporsi agli ordinamenti locali di una fitta rete di governatori capaci di esercitare nei confronti delle comunità la tutela politica e giurisdizionale che le costituizioni egidiane affidavano al rettore o al legato provinciale. Parallelalmente, nei luoghi minori ove non è presente il governatore, il podestà viene poco a poco a trasformare le proprie competenze fino a divenire una sorta di dipendente del governatore, gerarchicamente e funzionalmente subordinato a questi, chiamato a rappresentarne la volontà.
Non cambia invece la tradizionale separazione tra organi politici, amministrazione finanziaria, competenze giuridizionali, né cambiano i sistemi di elezione e la durata delle diverse cariche, anche se la crisi degli ordinamenti comunali fa di tutti questi elementi delle mere sopravvivenze e nel corso del tempo si diffonde la consapevolezza della loro scarsa funzionalità: in questo periodo si moltiplicano le disposizioni che impediscono gli eletti di rinunciare alla carica cui erano stati chiamati, segno di una diffusa tendenza a sottrarsi all'obbligo.
Anche nelle terre mediate subjecte e nei castelli minori i principi di diritto pubblico impongono una distinzione tra organismi rappresentativi della comunità, tutela politica e competenze giurisdizionali. Ma il rapporto tra comunità e soggetto politico sovraordinato, barone o città che sia, è basato direttamente sul vincolo che obbliga l'una alla fidelitas e l'altro alla protezione. Ne deriva che qualsiasi prerogativa e competenza comunale risulti anche formalmente una concessione e che l'articolazione istituzionale della comunità rimanga entro limiti del tutto modesti. Ed è forse possibile cogliere il rilievo e il carattere della vita associativa di queste comunità dalla denominazione dei loro rappresentanti. In genere a capo della comunità è posto il sindaco, un termine che indica fin dal medioevo un semplice rappresentante esterno, un delegato designato ad esporre ad altri la voltontà della comunità mentre ai consiglieri è spesso sostituita o associata la menzione di massari, che nella sua accezione di gestore economico sta quasi ad indicare la funzione della comunità quale semplice detentrice di beni.

Estratto da: A. Attanasio, F. Dommarco, "Lineamenti istituzionali e documentazione delle comunità pontificie nel periodo di antico regime", in Soprintendenza archivistica per il Lazio, "Gli archivi storici comunali. Lezioni di archivistica", Quaderni dell Rivista storica del Lazio, 1 (1998).


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