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Comune di Bormio

Sede: Bormio (Sondrio)
Date di esistenza: sec. XII -

Intestazioni:
Comune di Bormio, Bormio (Sondrio), sec. XII -, SIUSA

Il sorgere del comune di Bormio a potenza egemone delle alte valli dell'Adda e dei suoi affluenti risale, probabilmente, agli ultimi decenni del XII secolo: l'ascesa fu resa possibile dalla crisi della potestà feudale dei Matsch, avvocati, ma citati anche come conti, di Bormio che alienarono al comune il diritto di impartire la giustizia e il possesso dei beni demaniali. Il 12 agosto 1185 vi sarebbe stata una convenzione tra il comune di Bormio e l'avvocato Eginone di Matsch: a quella data i poteri dell'avvocato dovevano essere ormai ridotti e costituire quasi esclusivamente delle formalità, essendo la giurisdizione nella sua completezza già passata al comune; al feudatario doveva essere rimasto solo un potere di ricorso analogo al potere di giudicare in appello. Anche i diritti finanziari connessi con l'avvocazia erano già allora passati al comune.
Nel XIII secolo, il comune di Bormio si allontanò dalla dipendenza retica, trovando un nuovo interlocutore e avversario nel comune di Como. La lotta tra il centro lariano e la comunità di Bormio fu di volta in volta diplomatica, politica e militare. Nel 1201 Bormio dovette accettare un trattato di pace con Como: Bormio conservava le proprie istituzioni, il proprio autogoverno e ottenne il libero commercio in tutto il territorio controllato da Como. In cambio si obbligava a determinate imposte, decime, rendite, ed alla fedeltà politica e militare, poiché la maggiore autorità, il podestà, doveva essere nominato da Como. Dopo vari decenni di contrasti, sul finire del XIII secolo declinò il potere di Como e nel 1300 Bormio ritornò sotto la signoria del vescovo di Coira, che fu ribadita nel 1336. Bormio entrò sia pure non continuativamente nell'orbita dello stato visconteo nel 1350, e solo durante la signoria di Giangaleazzo al comune venne riconosciuta completa ed effettiva autonomia. Data, modalità di formazione e di composizione dell'originaria associazione di cittadini bormini che componevano la "universitas Burmii" sono oscure. Il comune si configurava probabilmente come associazione dei capifamiglia posti su un piano di parità, indipendentemente dal censo e dalla qualifica di proprietario terriero. Al tempo della pace con Como, all'inizio del XIII secolo, era già organizzato il nucleo essenziale delle istituzioni politiche comunali, articolato attorno all'assemblea dei vicini e alla figura del decano. L'assemblea dei vicini era formata dai meliores, duecento capifamiglia della terra mastra di Bormio. Al decano spettava il compito di presiedere l'assemblea e di svolgere funzioni esecutive. In base al trattato, i bormini dovevano accettare la nomina di un podestà, che esercitava il controllo sulla comunità, senza privare il comune della sua autonomia amministrativa e politica. Nel corso del tempo, con evidenza a partire dal XVI secolo, l'organizzazione comunale originaria perdette parte della sua democraticità, tanto che la base della sovranità non risiedeva più nel "consilium magnum" di tutti i capifamiglia, che in epoca tarda veniva convocato per determinare l'ammissione al comune di nuovi membri e in poche altre occasioni, bensì dal "consilium populi", organo composto da circa cento persone, con forte connotazione rappresentativa. Questa evoluzione fu condizionata dall'aumento demografico e dal mutare degli equilibri territoriali, essendo diventate le valli del contado più popolose della terra mastra di Bormio. Il consolidarsi di forme di autogoverno locale nelle vicinie o vicinanze di valle fu favorito dal comune, ma provocò conseguentemente una distinzione fra le istituzioni comunali, che all'origine erano state le istituzioni dell'unica vicinanza generale "loci Burmii" e le istituzioni di valle, di quartiere e di contrada. La capillarizzazione politica trovò analogia sul fronte religioso nel moltiplicarsi delle parrocchie. Il consiglio del popolo si trasformò in organo di raccolta dei rappresentanti delle vicinie, anche se il peso della città di Bormio rimase sempre preponderante. Contemporaneamente allo scivolamento della sovranità verso i corpi locali, si rafforzò il potere degli organi comunali superiori, in particolare dell'assise penale, che in sessione politica era detta consiglio ordinario o assentato, e dei reggenti. In generale, nei consessi comunitari la rappresentanza non corrispondeva alla consistenza numerica delle singole vicinanze. In tutte predominava l'elemento borghigiano, al quale la consuetudine attribuiva non solo la maggioranza degli ufficiali, dei canepari, dei procuratori, dei giudici e del governo (dieci su sedici nel penale, dieci su tredici nel civile; due contro uno nelle commissioni, ma anche la prevalenza nel consiglio del popolo (sessanta su centoventi): le tre valli di Cepina (Valdisotto), Pedenosso (Valdidentro), Furva si dividevano equamente i seggi restanti; Livigno era esclusa dal consiglio ordinario e partecipava al consiglio del popolo con tre rappresentanti, cioè due consoli e il mistrale. Nei rapporti con Bormio, che mantenne di fatto la propria autonomia nel trapasso di regime del primo Cinquecento, un mutato rapporto politico dei Grigioni si affermò a partire dal 1536. Alla comunità venne riconosciuto l'antico diritto del "merum et mixtum imperium" e la piena giurisdizione, concessi ai magistrati locali eletti regolarmente secondo le antiche tradizioni, ma la concessione era fatta "salva superioritate" dei dominanti. Nella nuova edizione degli statuti nel 1536, anche al podestà era concesso il merum et mixtum imperium, e a lui dovevano quindi obbedire i bormini anche in campo giurisdizionale. Vennero riconfermati dalle tre leghe tutti i privilegi circa i dazi e monopoli sui vini e sul sale: la comunità aveva, cioè, la piena e totale amministrazione dei proventi di tali esenzioni; quanto al potere legislativo, alla comunità era "lecito aggiungere e togliere agli statuti", nei limiti però di quanto concerneva la vita interna della comunità stessa. Gli statuti riformati furono pubblicati in forma ufficiale insieme ai nuovi statuti della Valtellina (1548-1549), e sono conservati nell'archivio comunale di Bormio. La revisione degli statuti portò ad uno squilibrio interno nel contado per quello che riguardava i rapporti tra le valli e la terra mastra di Bormio, poiché fu sancito il diritto di appellarsi direttamente alle tre Leghe, senza passare per i tribunali locali. La costituzione comunale, così come si era evoluta, garantiva in ogni caso allora alla terra mastra l'egemonia politica sul contado: l'attività di coordinamento e di indirizzo politico che Bormio, tramite gli organi comunitari, esercitava era finanziata gestendo il patrimonio gastaltico ereditato dagli avvocati di Matsch, cioè i proventi dell'affitto delle alpi e dei boschi, la riscossione delle decime, i diritti minerari, i dazi, le privative, e i diritti di giustizia: il comune di Bormio aveva acquisito infatti, fin dai secoli iniziali del suo sviluppo, il privilegio del godimento di una rilevante parte delle decime vescovili gravanti sui beni fondiari ad essi vincolati compresi entro la sua giurisdizione. Qualora le spese avessero superato le entrate, il governo del comune poteva mutuare prestiti presso privati o ricorrere alle vicinanze, ripartendo i contributi in base all'estimo. Ma nel corso del XVI secolo le valli, già aggravate da una ripartizione delle risorse comuni, soprattutto dei pascoli, giudicata sperequata, accettarono con crescente difficoltà di partecipare al ripianamento dei debiti contratti da organi in cui i loro rappresentanti figuravano in posizione di minoranza. La rivolta maturò verso il 1603, quando le contrade chiesero che si operasse una redistribuzione delle risorse e si ridefinissero le fonti finanziarie spettanti al governo di comunità ponendo, fra l'altro, un limite all'indebitamento. Gli arbitri eletti per dirimere la contesa fecero proprie quasi tutte le tesi espresse dal contado: i pascoli furono assegnati e ripartiti tra le vicinanze, proporzionalmente al numero di bestiame invernato; si limitò la possibilità del consiglio minore di contrarre prestiti senza il parere preventivo del popolo; si quotizzò il debito pubblico, riformando l'estimo, e si procedette a modificare la proporzione nelle deputazioni della rappresentanza tra terra mastra e valli. La perdita dei cespiti più redditizi comportò la paralisi della capacità d'indirizzo e coordinamento politico del comune, il quale, sul piano economico, finì a dipendere più strettamente delle contrade dai suoi creditori e dai diritti di giustizia. Nel 1612 le valli proposero senza successo uno schema di spartizione che affidava alla terra mastra e Livigno la metà del gettito annuo complessivo delle decime, e il resto, in quote uguali, alle vallate di Pedenosso, Furva, Cepina. Un ulteriore tentativo fu compiuto nel 1671, con tenace difesa da parte della terra mastra e degli organi della comunità. L'evoluzione del comune tra XVII e XVIII secolo portò comunque progressivamente al ripristino e all'ampliamento del potere di indirizzo e controllo popolare, attraverso l'assemblea maggiore, specie dopo che il consiglio ordinario era stato costretto a rinunciare a quasi tutti gli spazi di autonoma determinazione politica, particolarmente in seguito all'introduzione della norma per cui al consiglio ristretto erano vietati stanziamenti superiori alle cento lire, ma sotto aspetti nuovi: l'ascesa delle valli trasformava il parlamento comunale in un organo di rappresentanze territoriali. Il nuovo riferimento di aggregazione e determinazione politica non furono però le valli, bensì le contrade, spesso in contrasto e lite tra loro. Il comune di Bormio fu dunque un importante soggetto economico in quanto proprietario di fondi e titolare di forni, fucine, segherie, mulini, e dei servizi di macello, taverna, bottega. I beni comunali venivano concessi in affitto a privati dietro pagamento di canoni; gli alpeggi venivano livellati ad engadinesi, venostani, camuni, valtellinesi, che vi conducevano greggi e armenti nei mesi estivi. Altre fonti di reddito erano il patrimonio forestale, il cui sfruttamento era severamente regolamentato, le "terre nove", terreni guastivi ceduti a privati con possibilità di coltura, i "balnea", cioè le fonti termali. Il comune inoltre, in virtù della posizione geografica, godeva di una serie di diritti di transito la cui esazione veniva appaltata al miglior offerente: il "pedagium somarum" per i carichi transitanti per la strada dei Bagni e delle Scale di Fraele, quello dell'erbatico pagato dai somarini che passavano sulla stessa via, il "pedagium castronum" per il bestiame minuto e grosso, il "pedagium lanae", il "datium fructorum" e quello "anforarum"; il comune percepiva anche una tassa sulla pesatura delle mercanzie; il dazio sui vini di Valtellina verso la Rezia, la Germania e il Tirolo era passato sotto il diretto controllo del comune già nel 1330. Nell'ambito di Bormio anche la carità pubblica rimase a lungo una prerogativa del comune: i lasciti elemosinieri di cui esso si impossessò costituirono la base patrimoniale di un sistema caritativo assai più cospicuo di quello ecclesiastico. Entrando a far parte del patrimonio comunitativo, le rendite elemosiniere divennero al pari di altri cespiti oggetto di contesa fra terra mastra e valli durante la seconda metà del XVI secolo. Ancora sotto il controllo del comune c'era l'amministrazione dei redditi dell'istituto scolastico, affidata ad una deputazione di dieci individui, per metà della terra di Bormio e per metà delle valli. La deputazione veniva presieduta da un economo, che era quasi sempre un ecclesiastico, il quale doveva esigere le entrate dandone conto alla deputazione ogni anno. La deputazione durava in carica tre anni; l'economo tranne nel caso avesse dato adito a lamentele o cattivi maneggi, restava in carica anche più anni. La deputazione teneva le sue sessioni in una stanza dell'istituto scolastico, la chiave della quale restava presso il rispettivo segretario. Il comune di Bormio disponeva infine di una propria milizia, nella quale l'ufficialato era rigidamente lottizzato tra Bormio e le valli. A capo della milizia del comune, che nel 1600 era forte di circa 1.500 uomini, stava il capitano, scelto tra gli abitanti della terra di Bormio, eletto con un sistema misto tra suffragio e sorte. In subordine c'era un alfiere, sempre della terra mastra, e immediatamente dopo il sergente delle milizie della cittadina. Ciascuna truppa di valle aveva a capo due caporali: per Livigno e Bormio il caporale era uno solo. Tutte le cariche erano vitalizie e di nomina del consiglio del popolo. Il corpo era in effetti scarsamente armato e dotato di un equipaggiamento inadeguato.
Al momento della prima ripartizione del dipartimento d'Adda e Oglio, il comune di Bormio e vicinanze contava 5.302 abitanti. Con la successiva organizzazione del dipartimento dell'Adda e Oglio, il comune di Bormio, comprendente tutto l'ex contado, divenne capoluogo del distretto VIII. Nel febbraio 1799, dal comune di Bormio furono staccati i quattro comuni di Livigno e Trepalle, Valfurva, Val di dentro, Val di sotto. Nell'assetto definitivo della repubblica cisalpina, determinato nel maggio del 1801, Bormio era uno dei settanta comuni che costituivano il distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario; nel prospetto dei comuni allegato all'estratto dei registri del comitato di governo, seduta del 25 fiorile anno IX, figuravano anche i comuni di Livigno e Trepalle, Val Furva, Valle di dentro, Valle di sotto. Nel nuovo piano di distrettuazione provvisoria del dipartimento del Lario, in esecuzione del decreto 14 novembre 1802, il comune di Bormio e sua ex contea venne ricollocato nell'VIII distretto dell'ex Valtellina come comune capoluogo, e come tale fu confermato, comune di II classe con 5.302 abitanti, nel 1803. Nel 1803 la municipalità di Bormio trasmise istanza perché nei paesi di Livigno, Val Forba, Valle di dentro, Valle di sotto "attualmente formanti quella Comune" venissero nominati "in luogo dei rispettivi agenti comunali che andavano a cessare tre individui per ciascuno di detti paesi per disimpegnare gli affari generali": "il Consiglio generale del Consiglio comunale di Bormio", andando contro i termini della legge 24 luglio 1802 (gli accorpamenti territoriali erano materia dell'autorità governativa) aveva unito in un solo comune di II classe (Bormio, appunto) le comunità che ai sensi della legge 23 fiorile anno IX dovevano formare municipalità a sè. La viceprefettura di Sondrio aprì un fascicolo riguardante "il progetto di concentrarsi in una sola di II classe le Comuni componenti il Contado di Bormio", che fu chiuso nel 1804. Il 2 febbraio 1804 i deputati Pichi e Nicolina "della Municipalità e Consiglio comunale di Bormio, distretto di Sondrio, Dipartimento del Lario" indirizzarono una petizione "al cittadino Melzi Vice-presidente" con cui "pretendevano" le somme corrispondenti ai mancati introiti prima derivanti dai dazi, beni comunali, diritti feudali, di cui allegavano un prospetto. Con l'organizzazione del dipartimento dell'Adda nel regno d'Italia, il comune di Bormio e suo ex contado, fu posto a capo del cantone IV: comune di II classe, contava 5.302 abitanti. Nel prospetto del numero, nome e popolazione dei comuni del dipartimento dell'Adda secondo il decreto 22 dicembre 1807, il comune denominativo di Bormio, con 4.832 abitanti totali, figurava composto dalle frazioni di Bormio (1.000), Uzza (96), San Nicolò (158), Teregua (131), San Gottardo (198), Sant'Antonio (329), Madonna de' Monti (300), Livigno (460), Pedenosso (307), Trepalle (145), Torripiano (67), Molina (30), Premadio (136), Semogo (227), Isolaccia (235), Cepina (170), Oga (220), Morignone (125), Piazza (185), Fumarogo (98), Santa Maria Maddalena (1.254), Piatta (90), raggruppate in sezioni denominate Terra di Bormio, Livigno, Furva, Valle di sotto, Valle di dentro. Il comparto territoriale risultante il 1 gennaio 1810, seguito all'approvazione delle concentrazioni dei comuni del dipartimento dell'Adda, fu confermato nel 1815, dopo l'assoggettamento del dipartimento dell'Adda al dominio della casa d'Austria nel regno lombardo-veneto: a quest'ultima data Bormio figurava, con 5.302 abitanti, comune principale nel cantone IV di Bormio. Il comune di Bormio con voto unanime il 3 maggio 1814 aveva espresso la volontà di chiedere l'unione ai Grigioni; solo in data 21 agosto 1814 il prefetto del dipartimento dell'Adda, Rezia, riuscì ad imporre al podestà di Bormio Pier Antonio Nicolina di sottoscrivere un atto di omaggio e obbedienza al sovrano austriaco.
In base alla compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto era prevista l'attivazione del comune di Bormio, come capoluogo del distretto VI della provincia di Sondrio, privato del territorio dell'ex contado, che sarebbe stato suddiviso in otto comuni autonomi. In data 10 marzo 1816 il comune di Bormio trasmise un ricorso contro la compartimentazione del 12 febbraio. Il deputato di Valtellina conte Guicciardi, pur cogliendo "l'esigenza politica" di una divisione dell'ex contado, si oppose al suo "sminuzzamento", proponendone "l'accorpamento secondo l'antica e naturale divisione delle Valli", soluzione che sostenne anche l'imperial regia delegazione provinciale, per la "antica abitudine dei secoli e per la comunanza degli interessi". Per l'amministrazione delle proprietà indivise, la consulta del distretto di Bormio chiese all'imperial regia delegazione provinciale l'approvazione di un provvedimento per la concessione di una "congregazione o Consiglio generale di valle, composto di alcune scelte persone tra i principali estimati d'ogni sorta", che avrebbe avuto l'incarico di "vegliare alle spese incombenti alla generalità dei Comuni componenti la valle, ed ai bisogni generali della medesima", sull'esempio di quanto concesso con i decreti 16 settembre 1757 alla Valsassina e 19 dicembre 1757 al territorio di Lecco. Dopo aver ricevuto il prospetto dei comuni della provincia di Sondrio riordinato dalla delegazione provinciale, in data 9 maggio 1816 la congregazione centrale di Milano, per il tramite del conte von Saurau, governatore della Lombardia, espresse ulteriori osservazioni relativamente alla situazione del comune di Bormio (e di quello di Val San Giacomo), avendo trovato "nel rimanente" conformità con le proprie esternazioni, affermando tra l'altro che "le Comuni di Bormio e della Valle San Giacomo" avevano goduto "in passato di molti ed importantissimi privilegi" che non avrebbero cessato "di desiderare ancora", ove di fossero trovate "costituite in un sol corpo". La propensione che i due comuni avevano dimostrato "anche negli ultimi tempi di unirsi alla Svizzera" aveva confermato la congregazione nell'opinione che non fosse "politico di lasciare i comuni medesimi nello stato in cui si trovavano all'epoca dell'anno 1796". Quanto alla questione consiglio di valle, la congregazione centrale di Milano, persuasa "che attese le particolari circostanze de' suddetti luoghi" non si potesse, almeno per allora, "altrimenti provvedere alla amministrazione de' Beni, dei diritti, e delle passività che hanno in comunione, se non con l'affidarla ad una unione d'individui tratti da cadauni comuni", stimava conveniente conferire "tale amministrazione ai primi deputati de' singoli Comuni, ed in mancanza di alcuni di questi al secondo od al terzo". "Ma siccome interessa - proseguiva il conte von Saurau - che una tale amministrazione vada col tempo ad estinguersi, non già solo per togliere gli intralci che ne potrebbero talora emergere, ma per consolidare sempre più la divisione de' suddetti Comuni, che effettuata per prudenti viste politiche, conviene di compiere in ogni sua parte, così la congregazione centrale troverebbe opportuno che si ingiungesse da prima di semplificare la gestione, sia coll'estinguere mediante vendita di beni sociali delle comuni passività, sia col procurare degli affitti colle comuni stesse nel cui circondario trovansi i beni appartenenti alla comunione e che in seguito si pensasse a porre in opera tutti que' mezzi che si riconoscessero i più acconci ad operare la piena divisione d'interessi fra li suddetti Comuni". Bormio, comune con consiglio, fu confermato capoluogo del distretto VI della provincia di Sondrio in forza del successivo compartimento territoriale delle province lombarde. Nel 1853, Bormio, comune con consiglio con ufficio proprio e con una popolazione di 1.508 abitanti, divenne capoluogo del distretto V della provincia di Sondrio.
In seguito all'unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Bormio con 1.684 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento II di Bormio, circondario unico di Sondrio, provincia di Sondrio. Alla costituzione nel 1861 del Regno d'Italia, il comune aveva una popolazione residente di 1.714 abitanti (Censimento 1861).
In base alla legge sull'ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia. Popolazione residente nel comune: abitanti 1.686 (Censimento 1871); abitanti 1.878 (Censimento 1881); abitanti 1.953 (Censimento 1901); abitanti 2.126 (Censimento 1911); abitanti 2.169 (Censimento 1921).
Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario unico di Sondrio della provincia di Sondrio. In seguito alla riforma dell'ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Popolazione residente nel comune: abitanti 2.359 (Censimento 1931); abitanti 2.276 (Censimento 1936). In seguito alla riforma dell'ordinamento comunale disposta nel 1946 il comune di Bormio veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Popolazione residente nel comune: abitanti 2.733 (Censimento 1951); abitanti 3.293 (Censimento 1961); abitanti 3.905 (Censimento 1971). Nel 1971 il comune aveva una superficie di ettari 4.181.


Condizione giuridica:
pubblico

Tipologia del soggetto produttore:
ente pubblico territoriale

Profili istituzionali collegati:
Comune, 1859 -

Complessi archivistici prodotti:
Comune di Bormio (fondo)


Redazione e revisione:
Doneda Cristina, 2006/07/03, prima redazione


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