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Borsi Averardo

Castagneto di Maremma 1858 mar. 26 - Firenze 1910

Giornalista

Intestazioni:
Borsi, Averardo, giornalista, (Castagneto di Maremma 1858-Firenze 1910), SIUSA

Padre del famoso scrittore Giosuè, Averardo Borsi nacque a Castagneto di Maremma (oggi Castagneto Carducci) il 26 marzo 1858, da famiglia di modeste condizioni. Autodidatta, non seguì gli ordinari percorsi dell'istruzione a causa, pare, delle rigide convinzioni anticlericali precocemente espresse già in tenera età. Si costruì tuttavia una solida cultura storico-letteraria sotto la guida di Giosuè Carducci, suo conterraneo e amico del padre. La figura dell'illustre maestro, del quale Borsi fu fervido ammiratore, lo influenzò a tal punto da farlo aderire giovanissimo alla Massoneria, anche se in seguito, per le insistenze della moglie, ritornò sui suoi passi.
Dopo il matrimonio, avvenuto nel 1885, si trasferì a Livorno in cerca di un lavoro stabile che risolvesse le sue precarie condizioni economiche: dovette però accontentarsi di piccoli impieghi saltuari, prima come contabile, poi come tabaccaio. Successivamente cominciò a scrivere articoli per la «Gazzetta Livornese» e per il «Telegrafo», allora diretti da Giuseppe Bandi, per un compenso irrisorio. Contemporaneamente all'esordio nel mondo del giornalismo, Borsi fece il suo ingresso anche nella vita politica cittadina, prendendo parte alle battaglie elettorali schierato coi radicali; nel frattempo Giuseppe Bandi, favorevolmente impressionato dalla vivacità e dall'acume degli articoli di Borsi, lo chiamò al «Telegrafo», iniziando così una collaborazione che durò fino alla morte di Bandi stesso, avvenuta, com'è noto, per mano di un anarchico nel 1894. L'esperienza del «Telegrafo» servì a Borsi come trampolino di lancio per ruoli via via sempre più impegnativi nel giornalismo dell'epoca: fu collaboratore e direttore del quotidiano «Il telefono» fino al 1888, anno in cui la testata cessò di esistere; in quello stesso periodo guidò e diresse brillantemente il settimanale «Il mare», fondato nel 1872 da Giuseppe Chiarini insieme a Carducci e Ottaviano Targioni Tozzetti; trasferitosi a Pisa fu ben presto alla direzione de «L'Elettrico», che decollò grazie alle sue capacità, e successivamente diresse a Vicenza il quotidiano «Corriere vicentino».
Dopo l'assassinio di Bandi, Borsi tornò a Livorno, fondando e dirigendo il «Corriere Toscano». Nel 1897, poi, insieme ad Alceste Cristofanini, acquistò la «Gazzetta Livornese» e il «Telegrafo», assumendone la direzione.
A rendere vincente la strategia di Borsi era l'impronta personale che egli dava alle sue testate giornalistiche, facendone spesso i portavoce della propria visione politica, tanto soggettiva quanto - per i tempi - innovativa. Polemista pugnace e acuto osservatore, non perse occasione di lanciare i suoi strali contro il clero e i liberal-moderati prima, e poi contro gli esponenti del nascente Partito socialista, comunque e sempre inseguendo un preciso ideale di coerenza e correttezza. Sostenitore di Crispi durante i suoi primi governi, passerà poi a una opposizione decisamente critica, riconoscendosi infine nella linea politica giolittiana.
Bellicoso e sanguigno come solo i maremmani sanno essere, la sua biografia è cosparsa di processi e duelli (circa 11) con avversari diversissimi per i motivi più disparati, tutti comunemente originati da una o più invettive lanciate ad personam dalla tribuna dei suoi ormai celebri editoriali. Membro dagli inizi del "Circolo filologico" di cui faceva parte anche Carducci, Borsi strinse rapporti di amicizia con molti personaggi dell'ambiente letterario e culturale dell'epoca, non soltanto in ambito locale: fra questi basterà ricordare Pascoli, Pascarella, Micheli, D'Annunzio, Marradi, Mascagni. In politica contò innumerevoli amicizie fra gli uomini più noti, da Ferdinando Martini a Giovanni Giolitti, a Urbano Rattazzi (discendente dell'omonimo statista risorgimentale). Nel 1903, durante la sua direzione al "Telegrafo", inaugurò una campagna a favore della linea ferroviaria Livorno-Vada, affiancando l'opera dei monarchico-costituzionali Dario Cassuto (v. scheda) e Salvatore Orlando: con quest'ultimo, forse anche per la sua linea filocrispina, Borsi stabilirà un rapporto lungo e duraturo di profonda amicizia e rispetto. Dopo l'acquisto e la direzione del «Telegrafo», Borsi lasciò nuovamente Livorno per Firenze, dove lo attendeva la direzione del "Nuovo Giornale" (assunta in seguito alle dimissioni di Umberto Ferrigni), di ispirazione giolittiana. Qui, colto da un attacco improvviso di peritonite, morì in un albergo nel 1910.
Sulla vita e l'opera di Averardo Borsi esiste una copiosissima bibliografia, in molti casi riguardante anche il figlio Giosuè. Numerose le commemorazioni comparse su giornali e riviste del territorio in forma di articoli o trafiletti, a carattere sia semplicemente celebrativo che storico-critico. In questa sede, si citano solo le fonti bibliografiche ritenute meno dispersive. Si rimanda, per ulteriori approfondimenti, agli archivi de «Il Telegrafo» e alla consultazione dei quotidiani dell'epoca presso l'emeroteca livornese.


Complessi archivistici prodotti:
Borsi Averardo (fondo)


Bibliografia:
A. COJAZZI, "Giosuè Borsi", Torino, SEI, 1920
"Le origini e gli sviluppi dell'industria giornalistica livornese", Livorno, Il Telegrafo, 1936
M. CAMPANA, "Ricordo di Averardo Borsi, un moschettiere dell'800", in "Il Tirreno", 27 aprile 1949
V. CASTRONOVO- L. GIACHERI FOSSATI - N. TRANFAGLIA, "La stampa italiana nell'età liberale", Roma-Bari, Laterza, 1979
R. CECCHINI, "Il potere politico a Livorno: cronache elettorali dal 1881 al fascismo", Livorno, Nuova Fortezza, 1993
E. PICCIONI LAMI - A. PIOTTI, "I periodici livornesi dell'Estrema, 1860-1882", Livorno, Ufficio Pubblicazioni del Comune - Quaderni della Labronica n. 61, 1995

Redazione e revisione:
Capannelli Emilio, revisione
Lenzi Marco, revisione
Morotti Laura, 2011/11, rielaborazione


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