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Partito comunista italiano - PCI, 1921 - 1991

Il Partito comunista italiano nacque il 21 gennaio 1921 a Livorno, con l'iniziale denominazione di Partito comunista d'Italia, costituendo una sezione dell'Internazionale comunista. Si formò dalla scissione delle correnti di estrema sinistra del Partito socialista italiano guidate da Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci. Quest'ultimo abbandonò la sala del Teatro Goldoni, dove si svolgeva il XVII Congresso socialista, convocando un Congresso costitutivo presso il teatro San Marco.
Primo segretario del Pci fu Amedeo Bordiga che resse il partito fino al 1924, sostituito da Antonio Gramsci fino al 1926. Alle prime elezioni cui prese parte il partito elesse 16 deputati per la XXVI legislatura. Venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926 e ricostituito clandestinamente, svolgendo la propria attività sia in Italia che all'estero, in particolare in Francia e nell'Urss. Assunse la denominazione di Partito comunista italiano il 15 maggio 1943, in seguito allo scioglimento dell'Internazionale comunista e, nel settembre dello stesso anno, partecipò ai Comitati di Liberazione Nazionale insieme agli altri partiti di centro e di sinistra.

Dopo la Liberazione d'Italia la sua guida fu affidata a Palmiro Togliatti. Nel 1956 il Pci appoggio l'Urss nella crisi d'Ungheria. In seguito alla morte di Togliatti nel 1964, si aprì un forte dibattito sulle discordanze fra il modello sovietico e quello maoista. I filocinesi vennero espulsi dal partito. Dal 1972 al 1984 fu segretario Enrico Berlinguer, sostenitore della linea del "compromesso storico" tra comunisti e cattolici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo. Nel frattempo il partito allentò i rapporti con l'Unione sovietica sostenendo la linea dell'eurocomunismo, una via alla realizzazione del comunismo indipendente dal modello sovietico. Alle elezioni del 1976 il Pci ottenne il massimo storico dei voti, pari al 34,4%. Dal giugno 1984 al giugno 1988 fu segretario Alessandro Natta. Nel 1989, Achille Occhetto, segretario dal 1988, fu il protagonista della cosiddetta "svolta della Bolognina" con la quale il partito iniziò un processo di revisione politica ed ideologica per collocarsi fuori dal legame comunista e nell'ambito della socialdemocraziea europea. Il 3 febbraio 1991, a conclusione del XX Congresso nazionale, il Pci deliberò il proprio scioglimento promovendo la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (Pds). Una parte dei dirigenti e degli iscritti non aderì alla nuova formazione e diede vita ad un movimento che assunse la denominazione di Movimento della rifondazione comunista, poi Partito della Rifondazione Comunista (Prc). Più tardi, nel 1998, il Pds si trasformerà nel partito dei Democratici di Sinistra (Ds) mentre da una scissione del Prc, nello stesso anno, nascerà il Partito dei Comunisti Italiani (Pdci).

A livello nazionale organismi dirigenti del Pci erano: il congresso, suprema istanza del partito; il comitato centrale, collegialmente responsabile dell'applicazione della linea politica decisa dal congresso stesso; la direzione, con il compito di approvare il bilancio, ratificare l'elezione dei segretari regionali, esaminare e decidere sulle questioni poste dall'ufficio politico; l'ufficio politico, presieduto dal segretario generale e con responsabilità in merito alle questioni correnti e relativamente agli organi di stampa del partito ed ai gruppi parlamentari; l'ufficio di segreteria, presieduto sempre dal segretario, con la funzione di assicurare il collegamento tra gli organismi centrali e i comitati regionali e le federazioni. Segretario generale, direzione, ufficio politico, ufficio di segreteria venivano eletti in seduta comune dal comitato centrale e dalla commissione centrale di controllo. Quest'ultima, con il collegio centrale dei sindaci, era un organismo costituito allo scopo di controllare l'applicazione dello statuto, il rispetto della democrazia, dell'unità e della disciplina nella vita interna del partito e di collaborare alla formazione politica, ideale e culturale dei militanti e dei dirigenti.


A livello periferico la struttura del Pci prevedeva, invece, un'articolazione gerarchica che, partendo dal nucleo più vicino alla base, la cellula, arrivava fino alla federazione, l'istanza con competenza territoriale, in genere provinciale, e con compiti di direzione politica ed organizzativa. Erano anche previsti comitati regionali.

La cellula costituiva l'elemento organizzativo di base del partito, comprendente al minimo cinque iscritti. Poteva sorgere nel luogo di lavoro o di abitazione; le donne potevano organizzarsi in cellule miste o femminili. In un luogo di lavoro con tanti iscritti si costituivano più cellule la cui attività era coordinata da un comitato di fabbrica o di azienda. L'assemblea generale degli iscritti rappresentava l'istanza fondamentale in cui il militante comunista esercitava i suoi diritti e assumeva i suoi impegni. Era guidata da un comitato direttivo. L'ultimo statuto del Pci, quello del 1989, non prevedeva più questa struttura.

La sezione rappresentava l'elemento intermedio, l'organismo immediatamente superiore alle cellule di lavoro e territoriali esistenti nella sua giurisdizione e sottoposto alla federazione. Costituita da almeno venti membri, essa aveva una sede permanente che costituiva il luogo di riunione e di ritrovo dei suoi iscritti e il centro di attività politica, culturale ed assistenziale per i lavoratori della sua zona di influenza. Il congresso di sezione era il massimo organo deliberativo ed era convocato almeno una volta l'anno per eleggere il comitato direttivo e discutere gli argomenti posti all'ordine del giorno. La sua convocazione poteva avvenire in via straordinaria su richiesta del comitato direttivo della federazione o di due terzi degli iscritti, previo parere favorevole dello stessa direzione federale. Il congresso era formato dai rappresentanti eletti all'interno delle cellule, in numero proporzionale agli iscritti e secondo le norme stabilite a livello federale. Il comitato direttivo era, inizialmente, l'unico organismo presente all'interno della sezione; era costituito da cinque o più membri, tra cui un segretario politico, un segretario di organizzazione, un amministratore, un responsabile della propaganda ed un responsabile del lavoro di massa. Membro di diritto del comitato era il segretario del circolo della Federazione giovanile comunista italiana locale. Il direttivo controllava il lavoro svolto dalle cellule e l'esecuzione delle decisioni prese dal congresso e da tutti gli organismi dirigenti a qualsiasi livello. Veniva rinnovato totalmente ogni anno e, nel caso di posti vacanti, si procedeva a cooptazioni. Nella sezione si potevano costituire delle commissioni di lavoro che facevano capo al comitato direttivo ed avevano lo scopo di migliorare l'organizzazione dell'attività politica degli iscritti. In seno al direttivo poteva anche essere eletta una segreteria. Dallo statuto del 1957, all'interno della sezione, risultavano attivi anche degli organismi di controllo, i probiviri e il collegio dei sindaci, eletti dal congresso ed in carica per la durata del comitato direttivo. I primi avevano la funzione di vigilare sull'applicazione dello statuto, sul rispetto della democrazia interna e di esaminare e risolvere le questioni disciplinari. Il secondo, invece, controllava i bilanci, la gestione della contabilità e l'operato del responsabile amministrativo della sezione. Dal 1962 il collegio dei sindaci venne soppresso e le sue funzioni vennero delegate al collegio dei probiviri, rappresentato permanentemente nel comitato direttivo della sezione dal suo presidente. Lo statuto del 1989 prevedeva oltre alle sezioni territoriali e di lavoro anche quelle tematiche.

Il comitato di zona era una delle strutture di coordinamento e decentramento territoriale del Pci. Era l'istanza di direzione che raggruppava le sezioni del partito situate in zone composte da più comuni; esso era designato dal comitato federale che ne nominava i membri dopo aver sentito il parere in proposito dei comitati di sezione. Nello statuto del 1957 questo organismo era denominato anche comitato di settore: doveva essere eletto annualmente dall'assemblea dei comitati direttivi delle sezioni esistenti nella zona o nel settore, in base alla consistenza di ciascuna di esse. Nel 1960, poi, venne stabilito che mentre il comitato federale fissa le norme per la sua elezione, era l'assemblea degli organismi dirigenti di base a provvedere alla sua designazione. Soltanto con lo statuto del 1962, per la prima volta, vennero definiti, nell'articolo 13, i compiti degli organismi decentrati, comprendendo in tale termine i comitati comunali, cittadini e di zona. Successivamente, in occasione dei congressi del 1966, del 1972 e 1975, non si verificano modifiche sostanziali. Nel 1979 i comitati di zona e cittadini, con i comitati di fabbrica e di azienda e con quelli comunali, furono inseriti nel titolo dello statuto relativo agli organismi di coordinamento e di decentramento, con le seguenti funzioni: elaborazione della linea politica, stimolo e direzione dell'iniziativa dei membri del partito, orientamento dell'azione dei comunisti in tutte le istituzioni decentrate, amministrative e sociali. Fu anche stabilito che, in accordo con i comitati federali, i comitati di zona potessero determinare quali strutture fossero necessarie per il loro funzionamento; nelle città di maggiori dimensioni venne inoltre prevista la costituzione, con procedure e criteri analoghi, di un comitato cittadino che svolgesse le stesse mansioni e potesse creare al proprio interno ulteriori strutture di decentramento. Negli statuti del 1983 e del 1986, infine, furono ulteriormente precisati i compiti di questo unico organismo di decentramento, ormai distinto dalle strutture di coordinamento, cioè dai comitati di fabbrica e di azienda e dai coordinamenti cittadini e comunali. Pur mantenendo gran parte delle attribuzioni assegnategli in passato, il comitato sembrava assumere, sempre più, il ruolo di coordinamento territoriale. Anche se la sua azione restò sempre vincolata dal rispetto degli orientamenti del comitato federale gli venne, comunque, espressamente richiesto di fornire un contributo determinante nella formazione dei gruppi dirigenti del partito a livello locale. In alcune realtà regionali, a partire dalla metà degli anni Settanta, il comitato di zona fu sostituito dal comitato comprensoriale che ne assunse le competenze e il ruolo.

Anche il comitato comunale era un organismo dirigente territoriale del Pci. Nello statuto del 1951 fu stabilito che, nei comuni che non fossero sedi di comitato federale e qualora esistessero più sezioni, si costituissero i comitati comunali, designati dai comitati federali e composti dai segretari di sezione. Del comitato potevano far parte militanti con incarichi nell'amministrazione comunale e nelle organizzazioni di massa. Nei successivi statuti cambiarono le norme per la sua elezione: nel 1957 si stabilì che fosse l'assemblea dei comitati direttivi delle sezioni che, annualmente, in base alla consistenza di ciascuna, provvedesse alla costituzione e al rinnovo; nel 1960 tale compito fu affidato all'assemblea degli organismi dirigenti di base, secondo le norme fissate dal comitato federale; dal 1962, infine, all'assemblea dei delegati dei congressi annuali delle sezioni. Nel 1979 si precisò che, dove non esistesse un comitato cittadino, si potesse formare un comitato comunale per assicurare il coordinamento dell'attività del partito nell'ambito del territorio del comune.
Nello statuto del 1983, infine, l'art. 38 stabilì che "nei comuni comprendenti più sezioni possono essere formati organismi di coordinamento di quartiere, cittadino o comunale, per assicurare unitarietà di indirizzi alla attività del partito nel comune, in particolare per le questioni che riguardano le istituzioni. Essi sono formati dai rappresentanti delle sezioni e agiscono sotto la direzione degli organismi dirigenti". Il comitato comunale si trasformò quindi in un coordinamento comunale che, ultimi anni di attività del Pci, dal 1989 al 1991, fu denominato unione comunale. Questa rappresentava "l'istanza cui compete la direzione politica di tutte le organizzazioni di partito del territorio competente. L'Unione promuove e coordina l'attività dei comunisti nei diversi campi della vita politica, ne favorisce la formazione politica e culturale, ne stimola l'attività e il contributo critico e ne sostiene l'impegno nelle organizzazioni di massa". L'unione teneva i propri congressi ogni due anni, riunendo i delegati di tutte le sezioni ad essa appartenenti; in tale occasione erano eletti il consiglio dell'unione, il collegio dei garanti e i delegati ai congressi di livello superiore. Il consiglio, a sua volta, eleggeva un segretario ed una segreteria. Il collegio dei garanti, composto da tre o cinque membri, sceglieva al proprio interno un presidente appartenente di diritto anche al consiglio dell'unione. Ai garanti spettavano le funzioni svolte in precedenza dai probiviri a livello di sezione e di federazione.

La federazione era costituita da tutte le cellule e tutte le sezioni esistenti nel suo territorio. Di regola aveva una competenza provinciale; il comitato centrale poteva poi autorizzare la costituzione di federazioni la cui circoscrizione non coincidesse con la provincia. Ogni federazione svolgeva almeno ogni tre anni un congresso, che riuniva i delegati dai congressi delle sezioni, eleggendo il comitato federale, la commissione federale di controllo e il collegio dei sindaci. Il comitato federale era l'organo di direzione dell'attività politica e, in seduta comune con la Commissione federale di controllo, eleggeva nel proprio seno il comitato direttivo, il segretario e la segreteria. Il comitato direttivo aveva funzioni di dirigenza nell'intervallo tra le riunioni del comitato federale; la segreteria assicurava la continuità del lavoro, l'esecuzione delle decisioni e il disbrigo delle pratiche correnti. Il comitato federale dirigeva la stampa locale, nominandone direttori e redattori. Poteva costituire commissioni di lavoro, designandone responsabili e componenti e controllandone l'attività. Il Pci aveva anche federazioni all'estero. Negli ultimi anni di attività erano previste inoltre federazioni metropolitane.

Il comitato regionale era un organismo di direzione politica nato inizialmente per le sole regioni a statuto speciale e, in via eccezionale per altre regioni. Lo statuto del 1957 prevedeva come struttura regionale un coordinamento consistente in una riunione dei segretari, delle segreterie, dei comitati direttivi o di singoli rappresentanti delle federazioni presenti in una stessa regione. Compito di tale istanza era appunto quello di coordinare le iniziative e di elaborare le questioni di interesse regionale. Già nello statuto del 1962 il comitato regionale fu istituito come organismo di direzione politica con il compito di attuare la linea generale del partito e di fare da tramite tra gli organismi dirigenti nazionali e le strutture periferiche. Eletto all'assemblea o conferenza dei comitati federali e delle commissioni federali di controllo, nominava al proprio interno un segretario ed una segreteria.

(Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Comunista_Italiano)


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Bibliografia:
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L'UMBRIA, DEMOCRATICI DI SINISTRA DI FOLIGNO, Archivi del partito comunista italiano di Foligno e fondi aggregati 1944 - 1993. Inventari dei fondi e catalogo delle opere a stampa, a cura di A. SENIGAGLIA, coordinamento scientifico di R. SANTOLAMAZZA, Perugia, 2005 (Segni di civiltà. Quaderni della Soprintendenza archivistica per l'Umbria, 23)

Redazione e revisione:
Robustelli Giovanna, 2005/11, prima redazione
Santolamazza Rossella, 2006/01, revisione


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